Osservo dal finestrino in attesa che il cielo cambi. Il bus scivola verso questa strada direzione sud, abbandonando la capitale e la sua coltre di nebbia, sprofondando velocemente in un deserto arido e grigio come l’aria che attraversiamo. Per questo lancio uno sguardo oltre il finestrino. In attesa. Mentre la sabbia si interrompe su una baracca, pezzi di metallo contorti o un pugno di rocce. E’ un paesaggio crudele e senza poesia. E soltanto immagino una costa lontana, l’oceano Pacifico, un orizzonte sfumato che accompagnano la strada a distanza invisibile. In mezzo a questa desolazione compaiono ogni tanto appezzamenti di terreno coltivato, antiche piantagioni e vitigni lambiti dal deserto. La’ dove le uve diventano un liquore potente che sale alla testa. Ancora più rapido, nell’aria cocente. Scompaiono così come erano apparsi, vitigni abbandonati al deserto ed alla sua crudeltà. Non so ciò che sarà. Ripeto nomi di luoghi letti su pagine di carta e date a venire, scorrendo una mappa immaginaria che lentamente si arrampica ad altezze sconosciute, come se questo bastasse a farmi sentire sicuro.
Il villaggio si era manifestato sul mare. Una folla di imbarcazioni e rimorchi ormeggiati di fronte alla spiaggia. Alcune pericolosamente a linea d’acqua, ma tutte fuse in una macchia d’acquerello fluttuante. Ci sono molte più imbarcazioni che case. E moli di legno che si protendono come dita che cercano di raggiungerle. Sorrido, perché questa immagine mi riporta ad un luogo, ai limiti di questo stesso oceano, ma molto più a sud. Solo pochi passi bastano per trovarmi investito da raffiche gelide di vento che fanno socchiudere i miei occhi e sollevano in volo un’armata di volatili. Sorrido, perché in questo mio silenzio attendo un tramonto, bagnato da un’aria che diventa rapidamente più fredda, o un’immagine capovolta, sulla spiaggia, dove l’oceano ha dimenticato se stesso.
Spruzzi d’acqua dalle fiancate della nave ed un filo di vento che penetra tra le imbottiture delle casacche salvagente. Una volta oltrepassato il misterioso simbolo geometrico impresso sul fianco di una duna a picco sul mare, le isole, se così possono davvero chiamarsi, appaiono sempre più vicine, emerse da un orizzonte che era definito da un’unica linea retta. Ne’ il gran numero di volatili che quasi passeggiavano sulla spiaggia al limite del villaggio di pescatori, né’ tantomeno gli speroni rocciosi che arrivando in barca si intravedevano in lontananza potevano far prevedere cosa avrei trovato una volta più vicino. Una marea tale da coprire il cielo, esplosiva di vita e di diversità. Ciò’ che vedo è soltanto una metà, quella verso il cielo, e chissà cosa si agita sotto la chiglia del motoscafo. Ma quanto emerge è sufficiente a stupirmi, e rapirmi in volo, uno dei tanti voli pindarici che si disegnano davanti ai miei occhi, un tuffo, un battito d’ali, due becchi che si incrociano contendendosi la preda o uno sguardo assonnato che mi osserva da uno scoglio a pochi metri di distanza. Ed ogni istantanea che catturo con gli occhi mi riempie di entusiasmo ed eccitazione, dilata il tempo come vorrei fosse, per rimanere ad osservare semplicemente natura, semplicemente bellezza, semplicemente qualcosa che mai avevo visto dal vivo e che mi rapisce il tempo di un battito d’ali.
Ho finalmente raggiunto il deserto. Quello che arriva inarrestabile a scontrarsi con l’oceano. Precipita, dall’alto di un muro di roccia infuocata, trascinato da un vento che spazza la sabbia senza pietà, mentre più in basso le onde si frantumano su quello stesso muro implacabili. Ogni elemento sembra voler manifestarsi con feroce potenza. Eppure, tra queste piane di pietra protesa nel mare si agita un modo selvaggio di vita e diversità. Socchiudo gli occhi, per continuare a vedere. Per un attimo realizzo che, anche se sono partito da pochi giorni, questa sarà l’ultima occasione di vedere il mare, l’oceano sconosciuto e lontano, la linea lontana che per un attimo mi ha accompagnato. E’ in qualche modo un lampo malinconico, un saluto ed una promessa. Dinanzi, sulla strada verso sud, c’è solo deserto.
Dune di sabbia. Io mi siedo ed attendo in silenzio. Chissà se da qualche parte una mano invisibile mi sfiora la spalla, mi tocca il cuore, sussurra qualcosa che non saprei comprendere. Chissà se da qualche parte un lembo di sciarpa svolazzerà al vento. Attendo che il sole completi il suo corso, e nel frattempo osservo la luce che lentamente cambia percorso e dipinge le dune di gradazioni sempre diverse. C’e una magia indescrivibile, ogni volta, racchiusa in questi granelli di sabbia. Traccio segni destinati a scomparire in poco tempo. E lascio le immagini navigare, seguendo con lo sguardo linee ondulate e tortuose, che nascondono un’oasi che sembra tratta da mille e una notte, una pista di carovane moderne oppure una città intera, poco importa, perché già ho lasciato errare la mia anima.
"...solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo..."
(Luis Sepulveda)
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