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Immagine del redattoreoytis

Da Chiloe verso la Patagonia via mare


 

"...'Oggi è tranquillo', sussurra Fernando Avalos, palombaro dell’oceano, pescatore di molluschi sulla costa orientale dell’Isola Grande di Chiloé... Noi, uomini di terra, dobbiamo proprio vederle dal basso le onde del Pacifico. Alte tre metri in un giorno di bonaccia, grandi come colline, irruenti come un’altalena impazzita. La terra e il mare, qui in un Cile che lascia senza fiato, sono creature vive, palpitanti, potenti. La discesa verso il Sud del Cile è di una bellezza sconvolgente, 'una bellezza fredda, crudele, ma la cui luce” apre “la speranza di un possibile aldilà'. 'Né Dio né il diavolo si raccapezzano tra i labirinti di isole, canali e canaletti' che disegnano il rompicapo dei fiordi cileni. ..."



4-5 Novembre 2018


In un'attesa che sembrava non vi fosse più partenza, salire e salpare, direzione sud, é stato un battito di ciglia. Quell'isola grande e particolare che mi ha accolto col sole ed annegato di pioggia sparisce in fretta tra le arcate di ferro e bulloni del traghetto. Da oggi, in qualche modo, prende corpo un'avventura ed un ignoto che solo si identifica nel nome di una strada. Non ho rifugi sicuri, non ho certezze di trasporto, né luoghi certi. So che ho cercato fortissimamente questo viaggio. Anche se bastano poche miglia di navigazione per entrare in mare aperto e le onde diventano sempre più grosse. Da sotto, sento il clangore delle catene che tiene ancorate macchine e camion, si alterna ai tonfi sordi dell'acqua che impatta sulla nave. Sferraglio, sempre più forte. Ed io che guardando al lato del finestrino vedo cielo e mare alternarsi regolarmente. La gente, nei suoi sacchi a pelo, scivola da una parte all'altra della sala, mentre fisso un orizzonte che stalla continuamente da destra a sinistra. Penso ai racconti di mare, quelli che leggevo da bambino, o quelli di viaggio e di mondo che ho letto più di recente, e per la prima volta forse realmente ho dato vita a quei personaggi per vederli in maniera diversa. Ho lo stomaco attorcigliato, ed ogni minuto sembra infinito. Il traghetto é avvolto dal mare, dal grigio di nubi basse e da spirali d'acqua torbida.



Melinka é il primo approdo. E' un punto sperduto di un'isola sperduta nella mappa lungo la costa cilena. E' un piccolo teatro di vita steso su una piccola collina, che i marinai del traghetto vedono due volte in una direzione, due volte in un'altra, durante la settimana. Melinka é un grumulo di luci che osservo dal ponte mentre il cielo si scurisce velocemente, ed il tratto di mare aperto scivola via alle spalle, é la porta di ingresso ad un labirinto disegnato da fiordi ed isolette, dove il mare sembra diventare uno specchio, é un gruppetto minuscolo di persone che sbarcano ed un paio di anime che montano per proseguire il viaggio. Verso sud, nella notte.



"...I mari della Patagonia, per lunghi momenti, riflettono una tristezza che non può essere colmata. Tutto è estremo a queste latitudini, la malinconia come l’ebbrezza..."


L'acqua lentamente si é fermata, immobile, come uno specchio. Procediamo, in una volta di isole, macchie verdi e silenziose che scorrono ai lati, insenature nascoste alle mappe ed angoli incontaminati. In qualche modo, questo paesaggio torna familiare, crudo e selvaggio come era rimasto impresso nella mente quando sono stato nella Terra del Fuoco. E' una sensazione di familiarità che mi dice che sì sono sulla via giusta, verso quel luogo invisibile che risuona nell'anima, e che si riassume in quel nome mitico di una terra lontana. Patagonia. Non resta molto da fare che osservare queste striscie di terra e di roccia mentre scorrono silenziosamente, loro stesse osservandomi a loro volta, aprendosi all'improvviso lasciando intravedere altre vie misteriose su lastre liquide, o laddove senza spiegazione, una piccola costruzione di legno piantata sulla riva si materializza quasi sputata fuori dalla foresta. E gradualmente si materializzano quelle variazioni di blu, cupi ed opachi, rimando continuo con l'acqua. Infiniti cieli patagonici.



Il ritmo lento del traghetto si interrompe nelle fasi di attracco. Illusorio barlume che velocemente si avvicina, attracca, e scompare nel nulla di una natura apparentemente in letargo, pronta a scatenare se stessa senza distinzione alcuna, questo traghetto eà un flebile laccio che connette questi luoghi sperduti con ciò che per qualche motivo noi venuti da fuori definiremmo civiltà. Sono l'ultima propaggine di un'isola, o la gola di un fiordo, una manciata di case incastonate su un fianco, poche persone immobili sul molo e qualche bambino che gioca in lontananza. La strada, l'unica che parte dal mare, si spegne in una striscia di terra a poche centinaia di metri. E come al primo attracco, la sera precedente, non riesco che rimanere disorientato dalla solitudine di questi luoghi, il moto ondoso rassegnato delle barche dei pescatori, e l'austerità di un segno di speranza conficcato nella roccia, dove vivere assume un'apparenza eroica, in simbiosi con un mare imprevedibile e col silenzio della terra.



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