"...Keep, ancient lands, your storied pomp!" cries she With silent lips. "Give me your tired, your poor, Your huddled masses yearning to breathe free..."
"I first saw you on the evening of May 4, 1909, from the deck of the Immigrant Ship that brought me from Norway. I was wondering, as I looked at you and the lights in all directions, What is going to happen to me in this vast, new land of America?"
Forse davvero non poteva che iniziare così, quasi arrivando dal mare, in una coltre di nebbia e nubi, mattina fastidiosamente piovosa di maggio, con il profilo di Manhattan che per me scompariva lentamente inghiottito in un unico colore neutro, ed un altro profilo che lentamente diventava sempre più nitido. Eco lontane, confuse senza un tempo. Immigrazione, accoglienza, sofferenza. Tra un simbolo di speranza ed il primo approdo, dove ora il silenzio si sovrappone alle voci, alle tracce, agli occhi di milioni di persone. Prim tappa della storia, in ordine sparso. E se da un lato c'é una figura gigantesca che come un faro vorrebbe rimandare ai principi stessi della guerra di indipendenza, dall'altra si raccolgono frammenti quasi impercettibili di tante, tantissime storie. Coperte da una coltre di polvere e di tempo, testimoniano qualcosa che si ripete, continuamente, ovunque, e non é poi tanto lontano. Tutto quello che resta, quasi niente, perché i momenti sono vissuti e portati via, con sé, come un carico di valigia, il fischio di una nave, é un'assenza toccante e continua, un'immagine che lentamente perde colore ed assume i toni di seppia, gradazioni di bianco e nero, e si trasferisce in quei quartieri che diventavano piccole nazioni. Quartieri come Chinatown, Little Italy, i più famosi, i più legati a quell'imprinting innato che li ha fatti crescere e sopravvivere. Lì nasceva la moderna New York, probabilmente, esperimento senza precedenti, in ciò che molto era diverso da come appare oggi, e da lì, da quelle mani, si costruiva e emergeva sempre nuova la città. Forse non ho lo spazio e le parole per descrivere le ore passate in giro ad Ellis Island, ma tra le tante note raccolte ho trovato quelle di una giovane fotografa che aveva esplorato il sito quano ancora era in disuso.
"Ellis Island is enveloped by a tremendous intensity of emotion. The passage of countless souls has left behind a strong human presence anchored in its emptiness. Like a pebble or a piece of drift wood, it also bears witness to the passage of time, to change, to nature's own path, to what we see as chaos and decay. [...] I wondered around in silence, letting myself be guided by unknown forces compelling me to explore unlikely desolate corners of the endless mass. I saw the light making its rounds, a little different every moment, every day, and yet the same. Disturbed only by the sound of pigeon's wings, I heard the voices of the millions of people who came through here, building a temple with their highest joys and deepest sorrows - men, women and children who made it through to a new life, or who died straining to look through a dusty mirror at what they knew they could not possess..."
"These documents were saved for more than just memories... The papers were a testament of who they were and where they came from..."
"...government of the people, by the people, for the people..."
"... It is rather for us to be here dedicated to the great task remaining before us—that from these honored dead we take increased devotion to that cause for which they gave the last full measure of devotion—that we here highly resolve that these dead shall not have died in vain—that this nation, under God, shall have a new birth of freedom—and that government of the people, by the people, for the people, shall not perish from the earth..."
C'é un grande pezzo di storia concentrato in una nazione tutto sommato giovane. Ci sono concetti potenti e delicati, parole pesanti, come libertà, uguaglianza, schiavitù. La discesa lungo la East Coast, attraverso Phildelphia e Washington, passa profondamente attraverso le pieghe della Storia, in una commistione di potere attuale, equilibri planetari e lotte interne tanto profonde da essere veri e propri graffi dell'anima. Ancora oggi. Ed é una strada lunga, lastricata di nomi altissimi e grandi discorsi, così come di personaggi scuri ed ambigui, episodi ed avvenimenti. Sono tornato infine sulle scale che come a teatro seguono lo sguardo di un'immagine enorme, alle mie spalle seduta sul suo scranno, affiancata dalle stesse parole che come pilastri richiamano valori, quasi macigni, ad oscillare tra ideali e realtà, cui quasi aggrappati saranno rimasti i nomi di infinite anime senza più di un questo inciso su un cippo o spesso nemmeno quello, ignoto, quando la pietà non consente più altri giudizi. Come se esistesse una guerra giusta. Si perde in ogni direzione, una distesa di nomi, età, tanto più grandi di quanti se ne possano trovare su suolo europeo, conflitti che abbracciano due secoli, a partire dalla Guerra di Successione, il nome di un presidente, un altare al milite ignoto, una successione di memoriali, attraversati lentamente da un carro funebre, in lontananza, veterano o caduto.
"They fought together as brothers-in-arms. They died together and now they sleep side by side. To them we have a solemn obligation..."
"...Even again, in the greatest of odds, there is something in the human spirit, a magic blend of skill, faith and valor, that can lift men from certain defeat to incredible victory..."
"Here we mark the price of freedom"
"Proclaim Liberty throughout all the Land unto all the Inhabitants thereof"
"We mutually pledge to each other our Lives, our Fortunes and our sacred honour..."
C'é un filo sottile che lega la dichiarazione di Indipendenza alla lotta per i diritti civili, contro la schiavitù legalizzata, e successivamente a quella silenziosa del razzismo. Almeno nelle intenzioni. E' un filo invisibile che scuote una campana che non ha mai suonato, ma che é uno di quei simboli della storia americana. E da un capo all'altro si raccolgono testimonianze di questi passaggi fondamentali e, ancora una volta, si fatica a comprendere la vastità di questi temi, di quano siano nodi irrisolti non solo di questa società, ma in qualche modo di tutti noi, e la difficoltà a comprendere un Paese che celebra le sue virtù più elevate, pur cedendo a clamorose contraddizioni. Ancora una volta, torno indietro, alle carte stroppicciate degli emigranti giunti ad Ellis Island, ai nomi afro-americani incisi sulle lapidi fin dalla Guerra di Secessione, alle piantagioni della Louisiana, così come ai film più brutali che dai tempi di Lincoln arrivavano a Rosa Parks, la storia dimentiacata dei nativi, fino alle immagini attuali della polizia, torno con gli occhi a New York downtown.
"Whatever else I may forget, I shall never forget the difference between those who fought for liberty and those who fought for slavery..."
Sto attraversando città enormi e pezzi di storia. Dalla vecchia Washington, la cittadina di Georgetown che sembra di camminare tra le eleganti streets di una cittadina inglese, alle case in mattone e le vecchie vie nascoste di Philadelphia. Forse davvvero, con i passi ho perso la cognizione del tempo. E tra le vecchie strade, che ormai tendono ad essere scomparse, varco la soglia delle stanze in cui la Carta venne scritta e discussa e la stanza del primo Parlamento. Perché tutto nacqu in realtà qui, in questa città nominata col suo nome abbreviato quasi a vezzeggiativo, che tutti snobbano un po'.
"...I walked the avenue, 'til my legs felt like stone, I heard the voices of friends, vanished and gone, At night I could hear the blood in my veins, It was just as black and whispering as the rain, On the streets of Philadelphia..."
In questo luogo dal sapore gotico e dall'atmosfera surreale anche i colori hanno assunto tonalità congelate nel tempo. Questo penienziario ha ospitato nomi pesanti, criminali comuni e personaggi efferati. Nel silenzio, un alito di terrore trasuda dai muri, dai ferri arrugginiti, dalla luce filtrata che sembra condurre in loghi senza fine. Ci sono storie curiose e riflessioni sui penitenziari americani, allora come oggi. Perché i numeri attuali impietosamente inquadrano le composizioni razziali, la contraddizione della pena di morte, il confronto con una cella di Guantanamo. Tra le pareti, la storia di un uomo afro-americano libero del nord parla di un marito incarcerato ed internato per aver protestato contro la cattura della moglie, quando questa venne accusata di essere una schiava fuggita dal Sud. La storia degli schiavi fuggitivi, dei corridoi sotterranei ed illegali lungo tutto il Paese, del lucroso affare di chi rapiva uomini di colore liberi, riaffiora anche qui, in un poster ingiallito di un secolo e mezzo fa, tra corridoi abbandonati al disfacimento e -quasi - all'oblio - e nei numeri di prigionieri di oggi, in alrtri luoghi, entro altre mura.
Immergo la mano nell'acqua per passare le dita bagnate su lettere ritagliate da un parapetto metallico. Nomi, moltissimi, di ogni assonanza. rivoli d'acqua che scendono, precipitano, a creare una cascata in un vuoto invisibile. Ancora una volta, penso che lo scorrere dell'acqua abbia un potere arcano di plaare l'anima. Anche se é impossibile. La Storia passa di qui, ultimo tassello. Come un cerchio che si chiude, con il suo anello più doloroso. Forse perché semplicemente colpisce nella quotidianità che é familiare. Allo stesso modo, le mani di una donna sfiorano questo lungo parapetto. Ci ha parlato e ci ha guidato, in questo spiazzo che é ancora un po' cantiere e molta commozione. E, per quanto avessi notato già la foto nel risvolto del suo tesserino, solo ora che sta per congedarsi racconta che suo figlio era lì, che in questo punto é scritto il suo nome. Altro di un nome non rimane. Solo ora l'uomo accanto a lei racconta di essere arrivato dalla caserm dei pompieri, vicino, del cognato, che sta soffocando in un cancro ai polmoni, della giovane leva a cui aveva suggerito di entrare nel corpo dei pompieri. Come ogni tragedia, é imperativo raccontare, per ricordare. Perché nel ricordo ciò che é accaduto, le persone che se ne sono andate, esistono. Così esiste il figlio, nel coraggio della madre. Ed io rivedo i volti incrociati nella metropolitan, questo pensiero assiduo che collega facce sconosciute e normali alle Torri Gemelle. E chissà se davvero chi pilotava quegli aerei, quel giorno, hanno davvero puntato la Statua della Libertà, prima dell'ultima virata, fissandola negli occhi.
"I knew that Terry would have been on one of the highest floors, that's just what Rescue 1 would do. When the building came down, I grabbed the dust on the ground and thought he's in this dust..."
"We are breathing the deads, taking them into our lungs as living we had taken them into our arms..."
"A story is a gift"
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