E' con emozione ed eccitazione che torno a scrivere. Lo volevo fare appena salito in aereo, o idealmente ieri sera, al termine di una giornata che per me é durata trentasei ore, in cui la mattina camminavo all'ombra del ponte di Brooklyn e la sera tornavo in bus dal lavoro. Sono crollato sul divano, ad un certo punto straparlando quando mi sono svegliato in una stanza che stentavo a riconoscere. Ed allora, eccomi al termine di questo giro, che a poco a poco si é trasformato in un vero e proprio viaggio, di cui potrei scrivere giorno per giorno. Mi vi sono avvicinato intimorito, dalle dimensioni di una città enorme, e con il distacco per un luogo e per un Paese che ha tanto, ma ha anche molti aspetti su cui si potrebbe discutere a lungo. Ed all'inizio, ho volutamente evitato di farmi impressionare dalla folla, i luoghi più noti, gli aspetti più estremi, come a ripetermi che in fondo non c'era poi tanta gente o questo o quello fosse più grande di ciò che potevo aspettarmi. Del resto, il concetto di folla é sempre più molto relativo, rispetto a quanto abbiamo nella mente. Ma la verità é che in tempo molto breve, ne sono rimasto affascinato, catturato e sedotto come da una bella donna cui non ci si vuole avvicinare per autoprotezione... New York é bellissima, semplicemente. E' qualcosa che in un certo senso non avevo mai visto né sperimentato, un concentrato straordinario di culture e linguaggi, di luci, di luoghi indimenticabili, di umanità, musica ed azione, di cultura, stimoli intellettuali e belle ragazze. E' un elenco che potrei snocciolare per pagine intere. E' cool. E mi ha preso, lungo una serie di interminabili camminate che mi han fatto macinare chilometri e la sera mi portavano a casa stravolto, tardi ma non troppo per poter sfruttare la giornata seguente, che iniziava pure presto perché l'eccitazione per mille cose da fare e la luce del mattino mi svegliavano presto. Credo avrei potuto girare un mese senza esaurire la lista di cose che avrei voluto fare. E' così che questo si é trasformato in un viaggio. Con qualche deviazione lungo la East Coast. Un viaggio che oltre i luoghi e la gente ha attraversato la storia, la musica ed una sterminata ricchezza d'arte. Ma questi sono altri capitoli di un libro da scrivere.
Non so dire cosa mi sia piaciuto di più. Davvero, non ne ho idea. Camminare a Central Park, in una giornata di sole, per esempio, ed osservare i grattacieli da lontano come chi si appostava a catturare l'immagine di un volatile tra i rami. Oppure attraversare gli sconfinati ponti di Manhattan, in un salto proteso sull'acqua, città vere e proprie connesse l'una all'altra, o magari camminare seguendo romanticamente la riva del fiume. L'acqua ha sempre questo straordinario effetto calmante, anche dall'ansia di una metropoli banalmente troppo grande. O forse camminare, e basta, perché ogni angolo era un incrocio, da affrontare ed attraversa con la determinazione di chi sa dove andare, pur non avendone idea. La gente, l'ho osservata in metropolitana: un mondo racchiuso, incredibile esperimento culturale in cui ogni angolo si fonde in questa città. Ho sentito parlare qualsiasi tipo di lingua, mentre camminavo, che la riconoscessi o no. E voltandomi, chiaramente, non si trattava di turisti. E' questo l'aspetto indescrivibile di New York. E scambiando due parole poi con chi mi opsitava, scoprire quanto impensabile questo mondo possa essere così vicino a noi, dietro il nostro angolo. Ho trovato persone disponibili ed amichevoli, che forse sarà un approccio piuttosto noto quando si parla con degli Americani, ma non credo sia così scontato quando si tratti di una grande città che storicamente naviga anni avanti rispetto gran parte del pianeta. E la verità é che, magari un po' inconsciamente, ovunque andassi mi sentissi al sicuro. E certo, le differenze si snodano, lampanti, a volte in modo drammatico, a volte in maniera curiosa, e raccontano un aspetto di questa città. Una città che malgrado le sue dimensioni non impedisce tutto sommato di essere vissuta in maniera positiva: l'incredibile rassegna di eventi culturali, i bar ed i café, ognuno con l'anima propria di un quartiere, le strade che diventano pedonali nel fine settimana e si trasformano in sterminate rassegne di banchetti e chioschi di ogni tipo di cucina, il polmone di Central Park e tutti quei piccoli parchi quasi nascosti in un'incudine di edifici svettanti, o magari pure estesi laddove altro spazio non c'é che sospeso nell'aria, l'architettura stessa che, oltre al mero fatto di portare grandi firme, racconta delle storie, delle idee, dei personaggi. E' quest'anima, questa sensazione di vivibilità, a dispetto delle dimensioni, a fare per me di New York un luogo diverso.
"...You may say I'm a dreamer But I'm not the only one I hope some day you'll join us And the world will be as one..."
E' una piccola rosa dei venti in un "campo di fragole". Forse sarà un po' scontato, ma quando semplicemente voci diverse si uniscono spontaneamente sussurrando sulle note di una chitarra vagabonda suonata all'angolo di una panchina, credo sia un'emozione. E come il testo di una canzone, sarebbe bello bastasse così poco. Tra volti spiati nei vagoni della metropolitana, o ad uno di quegli incroci per strada, o lungo il passaggio pedonale di un ponte, tra i campi di gioco ricavati sui pontili, oppure ancora accostando i palazzi del potere e della memoria con la gente che si ritrova a giocare a baseball in vere e proprie squadre con tanto di divise fatte in case lungo la striscia verde che connette Capitol al memoriale di Lincoln a Washington, mi sono trovato spesso a confrontare l'idea di un Paese come nazione astratta e la quotidiana semplicità della gente che incrociavo. Quello stesso accostamento tra i giocatori di baseball a fine giornata ed il potere alla cui ombra si trovavano. Ho cercato di riflettere a lungo sulle contraddizioni ed i pregiudizi. E riascoltavo quella canzone appena sussurrata. E giungendo di fronte alla statua gigante di Abramo Lincoln, tra colonne elleniche e penombre, una frase mi suonava come un messaggio senza tempo...
"I hate slavery because it deprives our republican example of its just influence in the world - enables the enemies of free institutions, with plausibility, to taunt us as hypocrites..."
Pazienza se tutto sommato le mie foto saranno un po' banali. E pazienza se si rivolgevano continuamente a quel profilo di linee slanciate verso il cielo. Attraverso ponti sospesi, in navigazione dall'acqua, sulla terraferma o dalla cima di un'altezza da brividi. Come un polo magnetico catturava lo sguardo e l'immaginazione. Così come una fiamma sospesa nell'aria sorretta dal braccio saldo di una donna con passo incipiente. Ho sorriso, la prima volta che quel profilo mi si distendeva davanti; ho sospirato, di meraviglia, col fiato sospeso per un senso di vertigine, quando si sono spalancate le porte di un'ascensore e mi sono trovato sospeso nel cielo. Ho cercato di fermarmi e catturare un frammento temporale lungo una strada una qualsiasi con un numero davanti, quando il sole al tramonto é apparso lungo una linea. Questa é la storia delle mie foto. E questa invece é l'immagine che preferisco. L'ho saputo nel momento stesso in cui la scattavo. Mi é sembrato che sotto lo sferragliare della strada, tra le pieghe della pioggia, si nascondesse un mondo racchiuso in un attimo, camminando lungo l'Hudson, guardando un ponte attraversato e lasciato alle spalle ed uno, celeberrimo, che si avvicina, per riattraversare il fiume di nuovo. Con passo veloce, tra pensatori, maratoneti e passanti comuni, trattenendo il respiro affannato dei passi e smorzato nel tempo grigio che incombe.
12 maggio. Non so quanto ho camminato. Ho fatto tante cose, oggi, partendo dal Financial District e risalendo, attraverso Chinatown e Little Italy, così curiosamente accessibili una di fronte all'altra, fino alla 5th Avenue e poi indietro verso un teatro, quando ormai era sera anche se intorno sembrava giorno, tante erano le luci. Accompagnato da una curiosa successione di slices di pizza. So solo che al termine di questa giornata un po' speciale, quasi come fosse una promessa, volevo salire quassù. Così mi é stato detto. Ed uscito sulla terrazza, da un lato in particolare, il vento é frontale e quasi soffoca il respiro. Come se non bastasse la meraviglia. Mai così in alto. Ed una distesa di luci, linee in movimento fremente o piccoli brillanti sovrapposti in pile che non sembrano conoscere un limite, o boati di luce, ancora altrove. E dietro la vetrata, c'é un sax che suona, solitario, quasi silenzioso di quel silenzio invisibile. Cantare, semplicemente.
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