"...Ma io amo fino alle radici il mio piccolo paese freddo. Se dovessi morire mille volte lì voglio morire: se dovessi nascere mille volte lì voglio nascere, vicino all'araucaria selvaggia, dell'uragano del vento meridionale, delle campane appena comprate..."
(Pablo Neruda)
8-9 Novembre 2018
Avrò il mio ghiaccio. Quando ancora sembra notte, ed il tempo non promette nulla di buono. Siamo in tre, più la nostra guida, ed é una fortuna che qualcuno si sia unito, perché altrimenti non sarei potuto andare. Il tempo é frustrante, ma questa sarà una giornata da ricordare. Una lunga scalata sul ghiacciaio, e questa volta per davvero, partendo dalla sponda opposta del lago, dove il gommone era colmo di pioggia, e l'acqua sciolta del ghiacciaio era torbida e lattiginosa. Ci siamo arrampicati, seguendo un labirinto tra i massi divelti e franati dalla forza del ghiaccio. E lentamente quei massi diventavano in realtà ghiaccio sporco coperto di terra. Finché non é stato necessario indossare i cramponi. Per salire, ancora più su, verso una meta irraggiungibile, ed un senso di ebrezza ed avventura, conficcando le punte sulla base, passo dopo passo, ogni tanto guardandomi indietro, per vedere il lago sempre più lontano, ed il cielo diventare leggermente più terso. Ma soprattutto, per assaporare ogni misteriosa variazione di blu e d'azzurro, rivoli sotterranei, fessure nascoste. Per arrivare in cima, e rendersi conto che in realtà era come essere praticamente ancora a valle, tanto maestoso continuava il ghiacciaio verso la cima. Ultimo del gruppetto, praticamente sempre, per fermarmi a cercare un'immagine, o semplicemente cercando di assaporare ogni istante, ogni passaggio su questo mondo incantato, per scendere nuovamente, sempre conficcando le punte, questa volta dei talloni, nel ghiaccio centenario sotto di me, ed arrivare infine alla bocca del gigante, una volta enorme che si ingrandiva sempre di più, man mano che mi avvicinavo, dove goccia dopo goccia, il mio ghiaccio si trasformava nel lago.
Si chiama Sentiero delle Aquile perché parte con una salita da mandarti subito in apnea. Lascio la vertigine alle mie spalle, laddove la vallata si spalanca a centottanta gradi ed i laghi che si susseguono non sono che una linea di cielo incastonata tra rocce e vegetazione La lascio alle spalle, dove voltandomi avverto l'ebrezza del condor, in volo, con un mondo intero all'ombra delle sue ali.
Il paesaggio patagonico é composto di foreste che improvvisamente diventano radure, e tronchi d'albero semi-mozzati, o distesi, sembrano pietra incenerita, spettri vaganti che si immobilizzano allo sguardo del viandante. Il paesaggio é profilo di alberi piegati e deformati dal vento in un'unica direzione, é fiori che non ho mai visto e spuntano all'improvviso, é un saliscendi di rocce che nascondono viste spettacolari, ed acque blu cobalto dai riflessi purissimi come i cristalli di un ghiacciaio. Ho vagato, in solitaria con me stesso, lungo alcuni di questi sentieri, per incontrare poco più di un paio di pescatori, arrampicandomi su scale di legno, attraversando macchie di foreste, e calpestando mulattiere. Ho lasciato che la mente non fosse altro che i miei passi, uno dopo l'altro, in una specie di scoperta di ciò che ancora gli occhi non vedevano, ma già era presente, un po' più in là. Ascoltando, sempre, il sussurro del silenzio, il sibilo del vento, ed il canto di un animale, in lontananza.
Nell'angolo sperduto di una città che si attraversa a piedi in cinque minuti, ci sono storie soltanto accennate per caso davanti ad un bancone, o catturate ancora più per caso dal sedile di un autobus. C'é sempre una birreria locale, magari una pizza gigante in versione patagonica, o qualche altro piatto che appare come una montagna dal nulla, ed una luce infuocata che fende l'aria di una stanza chiusa che separa ciò che ha trovato riparo, dalle folate di vento là fuori. C'é chi si é spostato del nord, sei mesi qui e sei mesi là, ha aperto una locanda che di giorno serve hamburger e la sera soltanto sushi, salvo poi mantenere la promessa di tornare il giorno seguente, c'é una ragazza che viaggia da Puerto Rio Tranquilo, per servire ai tavoli di un locale che in "città" paga di più, e c'é pure chi é arrivato dall'altro lato del mondo, per fermarsi, in un viaggio itinerante che rallenta qualche mese e poi riparte, per scomparire in quello stesso orizzonte da cui era arrivato. Sembra che in questo luogo che molti, pure cileni, ritengono poco più di un passaggio, lungo la Carretera, ci sia più di un europeo che ha deciso di rallentare, ed io cerco di costruire una storia, nella mia immaginazione, per raccontare queste coincidenze, questi incontri che mi fanno sentire così lontano, distante.
“...I grew up in this town, my poetry was born between the hill and the river, it took its voice from the rain, and like the timber, it steeped itself in the forests...
He who does not know the Chilean forests, does not know the planet...”
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