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Attraversando l'Isola di Chiloé, verso "La Fin del Mundo"


 

"...'Le isole si sgranano come collane di perle - dice e scrive Coloane - da Vancouver all'estremo Sud del Pacifico non esiste altro mare più bello e mite dell'arcipelago di Chiloé.' L'Isola Grande 'è un lungo e alto bastione che protegge le sorelle minori dalla furia dell'oceano. È un formidabile frammento di cordigliera costiera disposto come un gigantesco frangiflutti in mezzo al Pacifico'. Chiloé è lo scheletro superstite di montagne andine perdute: qui la geografia del Cile va in pezzi, la morfologia è priva di senso. Catastrofi geologiche e i giochi arroganti e superbi dei ghiacciai hanno modellato golfi, insenature, stretti canali contorti, labirinti inestricabili di isole, fiordi che si annodano come serpenti. Oceano e Ande qui si sono sfidati per milioni di anni e si stanno sfidando ancora oggi. Chiloé è l'ostaggio di queste forze immani e i suoi uomini sono modellati da questa potenza..."



2-3 Novembre 2018


Ho l'impressione di essere atterrato in un altro mondo: il cielo oscurato, la nebbia gelida, ed un'aria trasandata che emana dagli edifici slavati che si scorgono dietro di essa. Attendo, idealmente, una nave che mi porti oltre, attraverso quel lembo di mare che mi separa dall'isola di Chiloe. Ho conosciuto quest'isola attraverso i racconti degli scrittori latini, luogo unico e particolare, dove uomini infaticabili hanno lasciato che la natura li forgiasse. Chiloé sarà la mia porta d'ingresso verso quel luogo dal nome epico, sulla strada della Patagonia, l'occhio verso Sud, e quella Frontiera scomparsa, ed in un certo senso già Patagonia. È un’isola affascinante, nella sua storia, che la contraddistingue dal resto del continente, e dalla sua gente, che vive di pesca, allevamenti di salmone, taglio del legname, agricoltura e, poco a poco, di turismo. E, complice il cielo improvvisamente limpido, il paesaggio si mostra in tutta la sua bellezza, lungo coste frastagliate che si aprono improvvisamente su spiagge adamantine, dove aliti di vento e lievi moti d'onda che si disperdono a riva, nascondono colonie di pinguini, cormorani e cicogne, dove passarelle sembrano terminare nel vuoto del cielo, e nella foresta impenetrabile abitano esseri dall'aspetto spaventoso.



"Qui molta gente confida ancora su antichi miti locali". Come in quello del Trauco, uno gnomo rugoso vestito di muschi e licheni che insidia le vergini. La sua ombra si nasconde tra le forester, ed appare oltre i muri di una fortezza. E' a lui che si imputano gravidanze di padri ignoti, ed é a lui che si imputano i problemi sorti quando un uomo lascia la donna e parte per la Terra del Fuoco o s’imbarca per anni a inseguire le balene. O come il Caleuche, un vascello fantasma che appare improvviso, uno spettro la cui esistenza non può essere dubbia agli uomini che ogni giorno sfidano un mare bizzarro ed imprevedibile. E come se non potesse essere diversamente, come una nave, anche le costruzioni sono di legno, sospese sull'acqua, rivolte al mare. E come una nave sono le chiese, oggetti scolpiti interamente nel legno, dove la luce sembra oro e ambra riflessi sulle pareti, e dove la religione cristiana si fonde col mito ancestrale di un mare implacabile tradizioni indigene..."



"... di quanto conosco e riconosco tra tutte le cose è il legno il mio migliore amico, io porto per il mondo nel mio corpo, nei miei vestiti aroma di segheria, odore di tavola rossa, il mio petto, i miei sensi si impregnarono nella mia infanzia di alberi che cadevano, di grandi boschi pieni di costruzione futura..."



Piove. I finestrini dei minibus colmi di gente che vanno da un porto all'altro in luoghi che ad ogni fermata sembrano muovere un po' più in là i confini del mondo sono appannati e trasudano condensa. Straniero in questo calderone viaggiante di persone, osservo gli sguardi, gli oggetti, una mattina di normale quotidianità, ed i volti su cui questa si stende. Cerco in questa varietà le suggestioni dei racconti epici degli uomini di Chiloe. Piove a dirotto, ed un vento sferza il volto senza pietà, rigandolo di pioggia, e trasportando acqua di mare sollevata da onde grigie e mostruose. Ho cercato riparo tra le aperture del mercato artigianale, dove oggetti di legno, capi di lana grezza ed immagini del Trauco si mescolano senza soluzione di continuità. In questo sosta di fortuna, tra aromi di spezie ed odore pungente di pesce, nei volti segnati ed anziani dei venditori, nei sorrisi di quelli più giovani, raccolgo un po' di calore per poter uscire nuovamente all'aperto. E' una piggia incessante, che permea i vestiti, e riavvolge tutto, nuovamente, in una nube grigia ed un mare in burrasca.



"...Quella notte accaddero cose piuttosto strane a Quemchi, piccolo porto di legname». Quando la nebbia si dirada, la marea adagia le barche su un fianco, davanti alla manciata di case fuori dalle rotte turistiche. «Ci sono insenature, stretti, fiordi e piattaforme dove i ghiacciai dell’era glaciale hanno lasciato morene e limo fecondo. Su tutte queste numerose isole cresce una fitta vegetazione silvestre, che attraverso i millenni ha formato una spessa coltre vegetale, dove abbonda spesso la patata, poiché questo tubero è originario di Chiloé..."


Sono sceso all'ultima fermata, laddove la strada finiva. La Panamericana termina qui, ad una stazione di un traghetto in ritardo di quindici ore, una notte davanti, i latrati dei cani ed i vestiti inzuppati. Sul lungomare trasandato ed abbandonato al suo destino, mi ha aperto la porta di quello che una volta fu in qualche modo un hotel, cupo e silenzioso, un uomo gigantesco dall'accento marcato. Una figura che senza difficoltà popolerebbe uno di quei racconti di tempeste e lupi di mare. In questo luogo sconosciuto ed inospitale, é lui col suo vocione a raccontarmi che sì, dal salone ampio al primo piano ed un divano consunto, vedrò prima o poi la sagoma della nave apparire all'orizzonte.



Sono seduto alla locanda d'angolo della strada. Una giornata interminabile e tutto ciò che di incognito rimane dinanzi, in qualche modo hanno prostrato il mio umore. Sento la solitudine avvolgermi e stringermi. Ho varcato la soglia della locanda, due avventori in tutto che litigano sul conto con una cameriera attempata, cibo passabile e mobilio consunto. Questa locanda é "La Fin del Mundo". Ed allora sorrido, preso da una carica di adrenalina nuova. Perché mi vengono in mente i racconti degli scrittori latinoamericani, i loro personaggi tratti dalla loro terra, le storie, i racconti, e quella frontiera scomparsa. Sorrido per questa Patagonia che sarà un'avventura, e per il ricordo di un'altra locanda, nella Terra del Fuoco cilena, a quella sensazione di calore umano e spirito autentico che avevo trovato e che volevo cercare, anche in un luogo deserto. Sorrido perché, seduto ad un tavolino scassato con un bicchiere di birra scura, osservo oltre l'entrata ed i vetri bagnati di pioggia, verso un oceano che é un unico liquido nero e denso. Sono alla fine del mondo.



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